lunedì 29 novembre 2010

Natale sul golfo

Prima prova del campionato invernale 2010-2011.
Per quanto riguarda il natale siamo fuori strada, ma invernale lo è stata davvero.
Per tutti gli equipaggi è durata pochissimo: il comitato di regata ha interrotto la prima prova e ha deciso di non cominciare neppure la seconda, perchè le condizioni meteo erano proibitive; per noi è durata circa quaranta secondi: tanto è bastato perchè una raffica, appena dopo una virata, facesse sdraiare la barca e la tenesse giù nonostante tutte le vele in bando. Daniele, che si trovava ancora sottovento, è scivolato fuori bordo, facendosi uno spiacevole bagno fuori stagione.
E' riuscito a stare aggrappato alla barca, lo abbiamo preso e ritirato a bordo nel giro di qualche minuto e poi, visto che il vento andava da quella parte, siamo andati ad attraccare a Salò.
A consuntivo solo un grosso spavento. Ma ne avremmo fatto volentieri tutti a meno.

mercoledì 24 novembre 2010

Umorismo d'elite (parte seconda)


Da xkcd (Guest strip by Bill Amend)
(Anche quella sulla gravità non è male. Un po' cattiva, ma non male)

martedì 23 novembre 2010

Umorismo d'elite


Trovata in rete, qui. Io ho riso tantissimo.

domenica 21 novembre 2010

Rope's rant

Andare in barca è un'attività pericolosa. Meno del paracadutismo o dell'arrampicata libera, probabilmente, ma espone comunque ad una certa serie di rischi.
E' anche un'attività piuttosto antica, per cui questi rischi sono abbastanza conosciuti e catalogati, e le contromisure da applicare sono normate da appositi regolamenti.
Le categorie di rischio, grosso modo, possono essere così riassunte:
  • Perdersi: per noi lacustri è un'eventualità abbastanza remota, in mare la cosa è già molto meno improbabile, per cui è necessario avere a bordo carte nautiche, bussola, gps, binocolo e alcuni attrezzi che permettano di essere più facilmente individuati da chi stesse eventualmente cercando l'unità dispersa, come fuochi di segnalazione, razzi luminosi fino al segnalatore di posizione satellitare.
  • Scontrarsi con qualcuno, particolarmente in caso di buio o di visibilità limitata, quindi necesità di luci di via (l'equivalente delle luci di posizione delle macchine) e segnalatori acustici (corno da nebbia, fischietti).
  • Affondare, il rischio più ovvio, per il quale è prescritta la presenza di attrezzi atti a turare falle di lieve entità e la presenza di sistemi di galleggiamento di emergenza che consentano ai naufraghi di attendere in relativa sicurezza l'arrivo dei soccorsi, dal "giubbotto", più correttamente definito cintura di salvataggio, alla zattera autogonfiabile. Nel caso si debba utilizzare quest'ultima, si consiglia vivamente di portarsi dietro gli strumenti di segnalazione visiva e sonora di cui s'è parlato più sopra.
  • Caduta fuori bordo, probabilmente il rischio più subdolo (e forse anche quello normato nel modo più insoddisfacente). Pare uno scherzo, ma cadere fuori dalla barca è tutt'altro che difficile, e può avere conseguenze tragiche. Abbastanza ovvio pensare al caso del navigatore solitario, ma anche nel caso della presenza dell'equipaggio le cose possono volgere al peggio: tornare indietro a prendere l'uomo in mare è difficile, perderlo di vista e non riuscire più a ritrovarlo in mezzo alle onde è invece assai facile.
    L'unico strumento veramente efficace per limitare questo rischio (life line e relative imbragature) non è obbligatorio, l'unica dotazione prevista è il "salvagente anulare con cima".

Ecco: parliamo un pochino di questi due oggetti. Il "salvagente anulare" è una ciambella, abbastanza simile a quella che usano i bambini per fare il bagno quando non hanno ancora imparato a nuotare, tranne che per l'essere sprovvista della testa di papera e dell'essere costruita in plastica rigida, per non correre il rischio di sgonfiarsi. Quando qualcuno casca in acqua bisogna avere la prontezza di riflessi necessaria per lanciargli vicino il salvagente; vicino ma non troppo, che se quell'affare lo piglia in testa si rendono superflue tutte le successive manovre.
E' abbastanza intuitivo che il salvagente, in quella situazione, è "necessario ma non sufficiente" all'effettivo recupero del bagnante involontario: se non c'è qualcosa che lo lega alla barca resta il problema dell'effettivo recupero del naufrago, ed è qui che entra in gioco la "cima", una corda (ma fa più figo chiamarla sagola) che collega salvagente e barca. Per ragioni piuttosto ovvie, tale sagola deve essere galleggiante (migliori possibilità per il naufrago di afferrarla, se non riesce ad arrivare al salvagente, e maggiori possibilità di non restare impigliata nell'elica del natante) ed è un oggetto estremamente infido e dispettoso. Pressochè impossibile da addugliare, se lasciata minimamente libera si annoda su sè stessa in garbugli inestricabili, quasi fosse dotata di vita propria, rendendosi in breve completamente inutilizzabile.

Se non avete un avvolgisagole il mio consiglio è di considerare attentamente quanto tenete alla persona che è caduta in acqua. Se non vi è molto cara è meglio che la lasciate lì dov'è, piuttosto che avere a che fare con la cima galleggiante.

venerdì 19 novembre 2010

Emozioni

Io, ai personaggi di fantasia, mi affeziono. Ai protagonisti dei libri che leggo, dei film che vedo, o delle strisce a fumetti che seguo.
E' abbastanza ovvio che più è lunga la "frequentazione" maggiore diventa l'investimento emotivo, per cui le sorti degli "eroi" di un fumetto che leggo dal lontano 2005 mi stiano abbastanza a cuore.
Però non dimentico che non sono persone reali: quando succede che la coppia storica della vicenda "scoppia" so che non c'è dietro il destino o la sfiga, ma solo una decisione dell'autore, quindi il sentimento che provo non è tristezza ma una solenne incazzatura.

giovedì 18 novembre 2010

Ce l'hanno con me

Sono evidentemente vittima di un complotto.
Ogni volta che arriva il momento di cambiare il sacchetto dell'aspirapolvere, il modello non è più in produzione ed è assolutamente introvabile.

lunedì 15 novembre 2010

Casalingo

Che uno non dice che scrive un post per invidia di quello scritto da un'amica di penna (sia pure elettronica). Può dire che ne ha tratto spunto, ispirazione, magari sprone se in vena di parole desuete, ma invidia no, non si fa.
Anche perchè, personalmente, non pratico molto la cucina degli avanzi. Principalmente evito di produrne, ma devo ammettere che, vivendo da solo, parto avvantaggiato: di solito so abbastanza esattamente quanto posso, o voglio, mangiare, per cui mi regolo di conseguenza. In realtà non è proprio così facile: quando ho fame ho sempre l'impressione di avere MOLTA fame e quindi sarei portato a preparare quintali di vettovaglie, ma con il tempo si impara a conoscersi anche sotto questo aspetto, e a fare la tara ai propri desideri.
Ovviamente capita anche di trovarsi in situazioni differenti. Tipo dover preparare una pizzata in trasferta per un gruppo di amici (con l'occasione di poter sperimentare un forno elettrico professionale e valutare così la differenza con il mio caro forno a legna: è proprio una cosa diversa, la pizza non viene cattiva ma la consistenza della pasta è nettamente differente). Non si sa esattamente quante persone ci saranno, nè quanto sono capienti i loro stomaci, d'altra parte non si può rischiare di finire le materie prime prima di aver soddisfatto tutti gli appetiti, per cui è pressochè necessario abbondare con le quantità.
Ritrovandomi alla fine con un po' di affettati, alcune verdure e un buon litro di salsa di pomodoro ho deciso di fare il ragù. Già che c'ero ho pensato di fare le cose in grande, così ho comperato dell'altra carne e alcune salsicce. Troppo in grande, visto che mi sono accorto di non avere una pentola abbastanza capiente per contenere il tutto, per cui ho dirottato parte del macinato nella preparazione degli hamburgher per il pranzo (naturalmente la macinazione l'ho fatta io).
(Ah: a proposito di hamburgher: recentemente, in un momento di follia e di momentanea carenza di alternative percorribili, io e il pargolo siamo andati a mangiarcene uno da Mc Donald. Sono ideologicamente contrario a quel tipo di ristorazione e sono quasi contento di poter dire che, da un punto di vista strettamente organolettico, sono proprio cattivi. Perchè io mi aspettavo di trovare qualcosa di dieteticamente scorretto, sovraccarico di grassi saturi, servito da impiegati al limite dello schiavismo e contraddistinto da un gusto eccessivo, magari artificiale e stereotipato, ma sontuoso; e invece non hanno assolutamente nessun sapore, oltre ad essere dieteticamente scorretti eccetera).
Vabbè, saluto, che mi sono anche accorto di non avere contenitori per surgelare il ragù e devo uscire a comprarli. Così prendo anche un po' di pane, che quando il pargolo torna da scuola posso fargli trovare un buon pasto.

giovedì 11 novembre 2010

Another wise shopping decision



I mille euro meglio spesi della mia vita.

lunedì 8 novembre 2010

Earring

Mi hanno raccontato che la ragione per la quale la gente di mare, anticamente, portava un'orecchino d'oro era essenzialmente pratica.
Era una vita pericolosa, le probabilità di una fine drammatica a grande distanza dai propri cari erano elevate e il monile serviva a coprire le spese del funerale: chi avesse ritrovato il corpo poteva tenersi il gioiello a patto di dare degna sepoltura al cadavere, altrimenti la sfortuna si sarebbe accanita contro di lui.

Nel mio caso le esequie sarebbero particolarmente dimesse.

sabato 6 novembre 2010

Olive

E' di nuovo il momento di raccoglierle.
In realtà abbiamo cominciato quindici giorni fa, ma solo oggi ho capito perchè questo lavoro non mi piace per nulla: è un impegno nel quale il raggiungimento del risultato è asintotico.

giovedì 4 novembre 2010

All'insù

Quando si affronta un problema, informaticamente parlando, esistono due diversi tipi di approccio, almeno così dicono i sacri testi: Top-Down e Bottom-Up (ovviamente i sacri testi sono scritti in lingua inglese).
Traducendo, non solo dal punto di vista linguistico, i due termini, si ottiene qualcosa del genere: nel primo caso partire dall'alto, farsi una visione complessiva del problema, suddividerlo in elementi, prendere ciascuno di questi elementi, analizzarlo, risuddividerlo, fino ad arrivare ai "mattoncini elementari", che vengono effettivamente sviluppati per poi essere assemblati; nel secondo si ragiona più o meno al contrario, si cerca di capire quali mattoni si hanno a disposizione e si prova a metterli assieme per ottenere il risultato atteso.
Ovviamente questa è la teoria: nella pratica questi due approcci si mescolano ampiamente. Del resto non ha senso suddividere un problema in mattoni se non si ha la minima idea delle caratteristiche che tali mattoni possono avere, mentre è assai più facile costruire e assemblare mattoni se si ha una certa idea di quale debba essere la forma dell'edificio nel suo complesso.

Personalmente prediligo un mix decisamente spostato verso il secondo metodo: mi permette di cominciare subito a lavorare concretamente, ad avere a disposizione piccoli oggetti da incastrare, con una struttura che prende forma lentamente ma comincia ad esistere da subito, prodotto tangibile della fatica e dell'impegno profuso.

Che può anche sembrare paradossale l'utilizzo di termini come "concretamente", "esistere" e "tangibile" per entità virtuali prodotte da piccole differenze di potenziale in minuscoli circuiti e che spariscono nel momento in cui si spegne il computer; ma vi posso assicurare che non lo è affatto.