venerdì 26 febbraio 2010

Dell'interpretazione dei segni

Quando mio figlio viene a trovarmi, capita che si metta a giocare al computer. Alcune volte gioco con lui, altre sto lì ad osservarlo, altre ancora lo lascio solo e faccio cose diverse.
In una delle ultime occasioni è successo che il video del pc si spegnesse improvvisamente per qualche istante, per poi tornare a funzionare regolarmente. Il problema si è poi ripresentato con una spiacevole frequenza, con un antipatico prolungarsi dei tempi di inattività.
Ora, si trattasse solo di giocare, la cosa sarebbe stata sopportabile, ma quello è il computer sul quale lavoro, non sarebbe affatto piacevole trovarsi con una scadenza da rispettare ed un video completamente nero, per cui abbiamo iniziato ad analizzare a fondo la situazione: appena il fenomeno si è verificato di nuovo ci siamo mossi con cautela, per vedere se riuscivamo ad individuare qual era il modo di far tornare tutto alla normalità.
La prima volta le immagini sono tornate muovendo il cavo che collega il monitor al pc. Beh, spiacevole ma comprensibile: può esserci uno dei fili all'interno del cavo che si è rotto, oppure un piedino del connettore che si è dissaldato, al prossimo spegnimento vedremo di restringere ulteriormente il campo di ricerca...
L'occasione successiva non si fa attendere molto. Con ancora maggiore cautela di prima provo a muovere i due connettori alle estremità del cavo, poi stropiccio il cavo medesimo, però stavolta non accade nulla, finchè inavvertitamente non urto la scrivania e il video si riaccende.
Sono perplesso, ma comincio ad avere un sospetto: all'ulteriore spegnimento, come primo tentativo, muovo il mouse e l'immagine riappare. Il fatto è che in quel gioco non si usa nè il mouse nè la tastiera, e probabilmente il pc non riconosce il gamepad come periferica di "colloquio", per cui, dopo un po' di tempo, pensando di essere inutilizzato, spegne il video per risparmiare energia.
Orbene: perchè racconto questo apologo tutto sommato banale? Perchè mostra, a mio avviso, quanto sia facile che delle ipotesi "sbagliate" possano ricevere delle conferme iniziali fasulle, e quante catene "causa-effetto" apparentemente razionali e plausibili si rivelino poi non vere. Se questo succede in un sistema tutto sommato semplice come un computer, immaginiamo che cosa può accadere in qualcosa di realmente complesso, come il nostro organismo o il sistema sociale nel quale viviamo.

mercoledì 24 febbraio 2010

Deliri di solitudine

Non lo consideravano un perdente. Più che altro non lo consideravano affatto.
Competente e dotato, svolgeva il suo lavoro con diligenza e con qualche raro sprazzo inventivo, ma non avrebbe mai fatto carriera perchè evitava accuratamente di leccare il culo ai superiori. Non faceva sgambetti ai colleghi, ma raramente faceva un favore e mai ne chiedeva. Nelle lotte interne al reparto, dalle più futili alle più cruente, si teneva invariabilmente in disparte e limitava i suoi contatti con gli altri reparti allo stretto indispensabile.
Avvertiva che intorno a lui tutti erano predatori o prede, molto spesso prede che si credevano predatori, aveva deciso che lui non voleva essere nè l'uno nè l'altra e che il modo migliore per raggiungere l'obiettivo fosse quello di negarsi al mondo.
Nelle lunghe serate passate nel suo appartamento da scapolo aveva scoperto il mondo dei MMORPG, ma presto la noia si era sostituta all'eccitazione. Decise che si poteva fare di meglio, e cominciò a costruire un suo proprio ambiente. Vi piazzò pianure, montagne, fiumi, laghi, mari e un grande oceano costellato di isole; ci mise steppe, deserti, praterie, foreste pluviali ed enormi distese congelate. Inventò animali di tutte le forme e dimensioni, e li fece nuotare, correre e volare.
Ad alcuni diede la possibilità di esprimersi a parole, per il gusto di sentirsi chiamare dio.

lunedì 22 febbraio 2010

Zoologia

In tutte le case normali, sotto i mobili si formano i gatti di polvere.
Solo nella mia si fanno delle tigri.

domenica 14 febbraio 2010

Winter cup, the final (Regata di San Valentino)

I velisti scalcinati si riconoscono per molte cose.
Ad esempio non vanno a leggere le istruzioni di regata, per cui non sanno come si svolgeranno le procedure di partenza, poi non riempiono il serbatoio del fuoribordo e quindi, quando quello muore di fame, non riescono a dargli da mangiare perchè la barca salta sulle ondone.
Arrivati nei pressi della partenza, e in imminenza della stessa, può succedere che debbano fare una capatina in porto per sbarcare un membro dell'equipaggio gia stremato dal freddo, dagli spruzzi e dal moto ondoso; per uscire dal porto quando ormai le altre barche sono lanciate sulla linea di partenza.
Poi però capita anche di incrociare dei compagni di classe che, tristi e a secco di vele, tornano verso casa perchè gli si è sciolto il nodo della drizza di randa e la marrana si è sfilata dall'albero, poco dopo si avvedono che un altro equipaggio è in mesta contemplazione della propria randa, lacerata dall'inferitura alla ralinga, e così i nostri scalcinati, balzellando sulle onde e troppo timorosi per issare lo spi nelle andature portanti, si ritrovano terzi alla fine della prima prova.
Per non smentirsi sbagliano anche la partenza della seconda prova, questa volta senza nessuna giustificazione plausibile, ma alla fine del primo lato di bolina incrociano Wanderfun, con la bandiera di protesta sventolante e la murata sfondata al giardinetto. Zitti zitti, e applicando la stessa tattica conservativa della prova precedente, chiudono al secondo posto (miglior risultato di sempre).
La prossima regata imbarchiamo anche qualche siluro, chissà che non si riesca ad arrivare primi, una volta o l'altra...

giovedì 11 febbraio 2010

Fissazioni

S'abbia un lungo nastro sottile, molto lungo, sul quale, a intervalli regolari, siano riportati dei segni. Si avvolga poi a spirale questo nastro attorno ad un cilindro, continuando fino a che il diametro della bobina risultante arrivi ad essere, grossomodo, il triplo del diametro del cilindro originario.
Se tutto ciò vi sembra troppo complicato da realizzare potete tranquillamente trovarlo già fatto, sotto forma di un normale rotolo di carta igienica.
E' piuttosto intuitivo pensare che, mentre lo si svolge, la circonferenza esterna (anche se non so se il termine "circonferenza" sia quello adatto, trattandosi di una spirale) diminuisca progressivamente, e in questa diminuzione raggiunga un punto in cui essa sia esattamente un multiplo o un sottomultiplo della distanza alla quale si trovano i segni presenti sul nastro di carta, le incisioni degli strappi, nel nostro caso. In quel momento si avrà che lo strappo dello strato superficiale sarà a contatto dello strappo dello strato sottostante.
Ebbene: nonostante siano molti anni che questo pensiero mi frulla nella testa, e per quanto sia certo della validità teorica del ragionamento, non mi è mai capitato di osservare questo fenomeno "in natura". Una volta non abitavo da solo, per cui potevo pensare che, anche se statisticamente improbabile, ciò avvenisse quando non era il mio turno di utilizzare il bagno, ma da un po' di tempo a questa parte sono pressochè l'unico utilizzatore del rotolo e questa ipotesi non è più valida. Ne consegue un'unica conclusione possibile: quando ciò accade sono distratto da altri pensieri e non ci faccio caso.
Non sono neppure capace ad avere una fissazione come si deve...

lunedì 8 febbraio 2010

Winter cup, terzo appuntamento (Regata della Merla)

Che invece non faceva neanche un po' freddo, ecco.



Però, a parte questo, faccio un po' fatica a raccontare cosa è successo. No, non ero in preda ai fumi dell'alcol e non soffro di amnesie selettive, semplicemente il fatto di timonare monopolizza tutta la mia attenzione e i miei sensi, impedendomi di vedere cosa succede al di fuori della nostra barca. E anche dentro, qualche volta.

Lo sguardo è praticamente sempre incollato ai tell tales (piccoli fili di lana che hanno il compito di segnalare l'aria scivola bene su tutte e due le facce della vela, nel qual caso si sta andando "bene", oppure se una delle due è in "ombra" e quindi occorre modificare la rotta), le orecchie ascoltano il vento (quando cadono vuol dire che è veramente freddo) e tutto il resto del corpo sente la barca, quanto è inclinata e come reagosce alle onde.

Quelli bravi forse riescono a fare tutto questo "in automatico", e nel frattempo magari si godono il panorama, chiacchierano con il tailer o salutano quelli delle altre barche, però ho l'impressione che le cose non stiano così: quando si fa qualcosa "immergendosi" in essa è pressochè impossibile riuscire ad osservarla per descriverla.

La vita la vivi o la fotografi, altrimenti ti accontenti di non fare bene nessuna delle due cose.

Ciò detto, due prove molto diverse: nella prima vento scarso e oltremodo variabile, gruppo sgranato e quasi nessuna emozione; nella seconda vento più stabile (ma con i suoi bravi salti, è sempre il golfo di Salò, in fondo), gruppo compatto, incroci ravvicinati, manovre precise e arrivi da fotofinish.

Nota a margine: nonostante la diversità delle condizioni l'ordine d'arrivo è stato praticamente lo stesso nelle due prove. Il che significa che quelli bravi sono anche fortunati. E noi nè l'uno nè l'altro.

lunedì 1 febbraio 2010

Paralipomeni

Per quelli a cui, come me, dovesse essere capitato di innamorarsi del film "Once":

http://www.boingboing.net/2009/12/15/swell-season-on-boin.html